Monday, December 2, 2013

Un'italiana in Michigan: Valentina Marchei e la strada verso Sochi

 

È un pomeriggio grigio in Michigan quando arrivo a una casa accogliente a West Bloomfield. Aspetto sul secondo piano nella sala da pranzo e guardo il lago. Pattiniamo insieme da due anni, ma non abbiamo mai parlato in italiano, all’eccezione di un “ciao” o “grazie” una volta ogni tanto. Voglio parlare bene e mostrare tutto il lavoro che ho fatto per imparare la bella lingua italiana. “Dammi alcuni minuti!” Lei mi dice a voce alta del piano di sotto.
Appena arrivata dal Giappone, oggi è il giorno in cui la sua “video diary” di NHK Trophy è messa sul internet. Guardiamo questa video insieme, in cui lei racconta le sue esperienze prima a Nagoya e poi a Tokyo, dov’è avvenuta la gara. Dopo un’esperienza “bellissima” alla gara di NHK, la quarta gara del Grand Prix, lei è tornata in Michigan con tre kili di regali dal pubblico “caloroso” e due programmi forti. È domenica, il suo giorno libero, e lei sta ancora provando a ricuperare il fuso orario.
A ventisette anni, Valentina Marchei, quattro volte campionessa italiana di pattinaggio artistico, si prepara per la stagione più grande della sua carriera, che culminerà a febbraio ai Giochi Olimpici di Sochi. Dopo due anni, io direi che conosco Vale la pattinatrice, Vale la campionessa, piuttosto che Vale la persona. Chiedo del suo arrivo in Michigan, perché in verità non conosco la sua storia. In realtà, lei si è trasferita negli Stati Uniti nel 2008, all’età di ventidue anni per lavorare con un famoso allenatore russo in New Jersey e all’estero. Lei spiega, “c’era un periodo a Mosca (l’estate 2010) in cui non potevamo allenarci, a causa dell’aria e gli incendi. Quindi, ci siamo trasferiti a Lettonia, e poi a Mosca in ottobre 2010.” Dopo i giochi di Vancouver, il suo allenatore è stato richiamato dal governo russo per allenare solo atleti russi. “A Gennaio 2011 mi sono fatta male, e ho dovuto stare ferma per cinque mesi. Poi sono tornato in Italia.” Quando lei ha ripreso a pattinare, lei non voleva continuare a vivere in Russia. “Non sapevo a chi andare, ma sono stata ispirata dalla storia di Alissa [Alissa Czisny, la pattinatrice americana]. Lei è passato ‘dalle stelle alle stalle’ e i suoi allenatori a Detroit che l’hanno portata al top.” Quando lei ha deciso di venire qui, i suoi genitori “non sapevano, non avevano la minima idea di che cos’è Detroit, ma hanno capito che questa era la cosa giusta per me.” A luglio 2011 Vale è arrivata a Detroit e lei ha incominciato un nuovo capitolo della sua carriera.
Nel 2008, quando Vale è venuta negli Stati Uniti, per lei “era tutto un nuovo mondo.” Nelle sue parole: “Mi sono lasciata trasportare da questa vita americana dove tutto è realizzabile.” Appena arrivata, “ho preso subito cinque kili, perché non riuscivo a controllarmi con i muffin e cupcakes!” ma dopo un po’di tempo lei è riuscita a “controllarsi.” Secondo lei, gli Stati Uniti è un paese “molto libero” con una filosofia “mente-aperte.” Visto la situazione economica in Italia, lei mi dice che vuole che suo fratello venga qui per vedere come la vita americana è diversa, per mostrargli come si fa una vita.
Però, la sua vita in Michigan è strutturata intorno al suo allenamento: “Qua devo mangiare bene, dormire bene, risparmiare l’energia.” Adesso lei vive alla casa del nostro fisioterapista-allenatore Britta Ottoboni. Quando lei sta nel paese, sta nella camera del figlio maggiore di Britta, che ora è via all’università. Quindi, lei si sente a casa sua, a lei ha la tranquillità qua che non può trovare in Italia. Il marito di Britta è italiano di origine, e quindi non le manca il cibo italiano. (Anch’io posso attestare che lui sia un grande cuoco!) In tutto, lei non può dire se preferisce un paese in particolare: “Quando sono qua, mi manca l’Italia. Quando sono là, mi manca l’America. Sto bene dovunque sia.”
Benché Vale viva negli Stati Uniti da cinque anni, lei è sempre legata alle sue radici. Lei non vive tanto la grande comunità italiana qui, però “improvvisamente trovo i nonni, le bisnonne, che dicono che sono italiani, ma comunque non parlano niente d’italiano!” Anche se tutti gli italo-americani non parlano la lingua, questo orgoglio nazionale “è una bella cosa, che gli americani tengono alle loro radici.” Vale ha vissuto in New Jersey con una famiglia italiana, i cui nonni non parlavano inglese da venti anni di essere in America. “Questo mi ha aiutato a non staccarmi mai da casa.” Come io studio le lingue straniere, ero curioso di sapere quando lei ha incominciato a imparare inglese, poiché lei parla inglese quasi perfettamente. Ogni volta che ci esercitiamo in palestra, sono sempre incantato dalla sua abilità di sapere tutte le parole di ogni canzone che neanch’io so. Per lei, “era sempre facile acquisire una nuova lingua. Anche se ho il mio accento italiano, non voglio dimenticare il mio paese.”
I Giochi cominceranno in solo due mesi. Fino a quel momento, ci sono tre gare importanti: le Universiadi in Trentino, i campionati nazionali a Merano, e poi i campionati europei a Budapest. Dopo aver perso due olimpiadi, il sogno di Vale questa volta è semplice: “essere felice e serena.” In più, lei ha una perspettiva saggia: “Se penso a otto anni fa, dico adesso sono pronta per fare una bella esperienza, fare una bella gara, e godermi. Adesso voglio andare per partecipare ma anche per lasciare il mio segno.” Nel pattinaggio, come nella ginnastica, dicono spesso che dopo aver passato l’età di venti anni, sei vecchia. Però, secondo Vale, è proprio il contrario. “Il mio fisico sta tenendo benissimo,” lei mi dice, ma più importante, “io ho ancora fame di imparare. Non mi sveglio mai dicendo di non voler andare in pista.” Allora, dopo un’ora illuminante, finiamo l’intervista. È chiaro che Vale abbia la giusta disposizione per la sfida di questa stagione. “C’è l’idea che ogni cosa succede per un motivo. Adesso, it’s meant to be. Forse la volta buona, no?” Guardiamo i cigni che nuotano tranquillamente nonostante la pioggia che abbia cominciato, e sembra che loro riparino appena in tempo. Sì, io penso, è il momento giusto.
 
 
Foto concessione di Valentina Marchei

  

Tuesday, November 26, 2013

Sepúlveda e la lumaca




Durante questo semestre, con la tema d’immigrazione, parliamo spesso dell’infanzia, com’è un aspetto importante delle storie di tutte le scrittrici. Allora, ho trovato casualmente un’intervista nell’Espresso della Repubblica con Luis Sepúlveda, uno scrittore e attivista cileno, in cui lui parla del suo nuovo libro “Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza.” È una favola per bambini, ma anche per gli adulti, che racconta la storia di una giovane lumaca “anticonformista” che vuole scoprire il mondo. Nel suo libro, Sepúlveda contesta il bisogno della società di vivere sempre una vita veloce e moderna:
“Ci dicono che se abbiamo un telefono cellulare di ultima generazione la nostra vita sarà più rapida, più felice e più intensa. Però non ci viene mai detto che questo cellulare ha una batteria, che questa batteria si fa con minerali chiamati coltan e litio, e che per ottenere questi minerali a basso prezzo si umiliano, si schiavizzano e si destabilizzano socialmente, economicamente e politicamente i paesi africani e latinoamericani in cui si estraggono coltan e litio.”
Nel libro, Sepúlveda sceglie un piccolo animale per dimostrare le sue teme di saggezza e coraggio per creare un mondo migliore. È interessante perché lui è anche un immigrato: è nato in Cile, ma è un cittadino francese e ora vive in Spagna. Lui ha un grande pubblico italiano (e lui anche parla italiano), e adesso il suo libro è un “bestseller.”

La ragione per cui l’ho scelto per questo blog è perché, come abbiamo visto, la lettura è una parte fondamentale dell’istruzione dei bambini, e su vasta scala, dell’infanzia. Da piccolo, alcuni dei miei ricordi preferiti erano leggere e imparare del mondo. Secondo voi, quali sono i libri classici dell’infanzia? Se vi è piaciuto leggere, quali erano i vostri libri preferiti?

Wednesday, November 20, 2013

Cinesi a Prato



Dopo aver letto le prime pagine della storia di Yue, volevo sapere più della comunità cinese in Italia e la storia dell’immigrazione cinese. Quindi, come sempre, ho fatto una ricerca sul internet, e ho trovato un po’ di informazione. In realtà, c’è una grande comunità cinese a Prato, vicino a Firenze, in Toscana. In 2010, c’erano 11.882 persone di origine cinese, circa 6,32% della popolazione. Questa comunità cinese viene dalla provincia Zhejiang, una provincia orientale costiera, la cui capoluogo è Hangzhou. Di più, in qualche parte della città ci sono cartelli e insegni in cinese e italiano, perché la concentrazione di cinesi è così grande.

Ora ci sono alcuni scrittori e registe che raccontano le storie di questa comunità. Per esempio, il libro "I Cinesi di Prato" di Hong Li Ping racconta la storia di immigrazione cinese alla fine degli anni ’80. Nelle sue parole, "ho incontrato molti amici cinesi di Prato e italiani. Mi sono commossa per la ricchezza delle loro storie e ho voluto approfondire la conoscenza." Adesso il libro è disponibile solo in cinese.

Inoltre a questo libro, c’è anche un documentario sulla comunità cinese che si chiama "L’occupazione cinese: Made in Prato" del regista Massimo Luconi. Durante il trailer, vediamo un uomo di origine cinese nel suo negozio di vestiti, e un altro che guida la macchina parlando della sua comunità a Prato. C’è anche una giovane che parla dell’alfabeta cinese e perché la cinese è interessante per lei. Dopo aver guardato questo piccolo pezzo del film, è evidente che la comunità faccia uno sforzo per integrarsi in Italia, sempre ricordando i suoi radici.
Guardate il trailer qua:



Monday, November 4, 2013

La Censura in Eritrea

Ero curioso della presenza italiana in Eritrea oggi, e ho deciso di cercare un giornale eritreo, o un giornale per gli eritrei in italiano. Però, dopo una ricerca esaustiva, non ho potuto trovare niente. Allora, la ragione per cui non sono riuscito è la mancanza della libertà di stampa in Eritrea. In 2012, l’organizzazione di Reporters Without Borders ha dichiarato che Eritrea era il paese più censurato del mondo, prima della Corea del Nord e la Siria. In altre parole, i giornalisti stranieri non sono dati permesso di entrare il paese, e i media sono controllati dal governo .


Ci sono alcune ragioni per cui l’Eritrea sarebbe così censurata: il conflitto con l’Etiopia che ha durato per trenta anni; il presidente Isaias Afewerki, che dirige il paese da 1991; è diventato una prigione per giornalisti; e, non c’è nessun’agenzia di stampa nel paese.

Non è un sorpreso che l’Eritrea sia considerata uno del paese peggiore a proposito dei diritti umani. Sfortunatamente, il paese non minaccia la sicurezza globale quanto la Cina, la Corea del Nord e l’Iran, e quindi, adesso il problema della censura non attira abbastanza attenzione per migliorarlo.


Io sono sempre fascinato dai paesi, dove la libertà di espressione è limitata, perché non posso immaginare vivere in una cultura così dura.

Tuesday, October 29, 2013

Un azzurro ai Pistons



La scorsa volta, noi parlavamo un po’ dello sport in Italia. Allora, questa settimana, voglio scrivere su un atleta, nella NBA, Gigi Datome. Non sono un vero tifoso della pallacanestro americana, ma pensavo che sarebbe interessante di parlare di un atleta che abita non lontano da Ann Arbor.

Gigi Datome (nato Luigi, il 27 novembre 1987),  ha giocato per dieci anni nella Nazionale Italiana sulle squadre di Siena, Lottomatica Roma, e Acea Roma, prima di venire negli Stati Uniti quest’anno per giocare sulla squadra dei Detroit Pistons. In un articolo nella Repubblica, lui descrive le sue prime giornate con la squadra: ''Eccitante. Un po' come il primo giorno di scuola con la differenza di cominciare un capitolo bellissimo della mia vita. Qualcuno mi chiama Jesus (colpa della lunga chioma, ndr), per quasi tutti però sono semplicemente Gigi.'' Di più, sembra che lui si stia integrando nella vita americana, e che lui stia migliorando il suo inglese. A lui piace l’organizzazione dei Pistons, perché ci sono tanti persone intorna alla squadra che prendono cura dei giocatori.  

Ma tutto questo non vuol dire che il mondo di pallacanestro sia simile: “mi sembra tutto molto più rapido. Qui sono praticamente tutti super atleti e hai poco tempo per fare delle scelte in campo. Devi prendere decisioni in pochi attimi, rispetto all'Europa davvero va fatto tutto più rapidamente,'' dice Gigi. Però con un biennale da 3,5 milioni di dollari e un aereo privato per la squadra, la velocità di Detroit vale la pena.


In più Gigi non è il solo giocatore italiano negli Stati Uniti; in totale ci sono quatto: Danilo Gallinari, Marco Belinelli, Andrea Bargnari, e lui. Mercoledì Gigi comincerà la sua stagione con i Pistons contro Washington. Gigi vuole divertirsi con lo sport, e lui felice essere qui. Nelle sue parole, “Chi l'avrebbe mai detto.''

Tuesday, October 22, 2013

Stereotipi europei


Oggi ho letto un articolo sul Corriere Immigrazione, “Le mappe del pregiudizio.” Nell’articolo, lo scrittore ha descritto come qualcuno che si chiama “AlphaDesigner” ha ricreato la mappa d’Europa pensando agli stereotipi del punta di vista per ogni paese. Per esempio, lui a creato la mappa secondo gli italiani, in cui Italia è divisa in mezzo, il nord “Italia” e il sud “Etiopia.” Le mappe sono fatte con un senso sarcastico o comico. Mi ricordo di aver visto altre immagini di quest’artista sul Facebook, ma la quale degli Stati Uniti. Forse è più facile vederlo:
Lui ha anche fatto una mappa attraverso lo squadro del Vaticano:

Allo scrittore non sono piaciute le mappe, e non l’ha veramente capito:
Un giochino insomma. Nelle mappazze manca ogni spiegazione. Quante persone, di che età, di che classe sociale dicono cosa? Quando? A chi? Dove? Sono frasi carpite nelle toilettes degli aeroporti europei o sfuggite nei corsi di formazione alle guide turistiche? Non è dato sapere e potrebbe essere poco importante.”
Devo dire che sono d’accordo con lui. Secondo me, non è così divertente, perfino c’è un po’ di verità in queste immagini. È semplicistico di dire che tutti i cittadini dell’Europa rappresentano questi stereotipi. È negativo, e non è una commedia intelligente; non mi sento sorpreso, ma piuttosto confuso.
Però questo è solo quello che penso io. Capisco che non sono immagini seri; è un commento sugli stereotipi trasmetti dappertutto il mondo. La mia domanda è questa: Pensate che immagini rinforzino gli stereotipi, oppure, che loro (o la commedia in genere) li fanno diminuire? Sono male, o inoffensive? Qual è il punto in cui non è giusto di prendersi in giro un popolo?
All’inizio della mia ricerca per questo blog, pensavo di scrivere sull’Albania, perché nel libro di Miranda Sulce non c’era molta informazione sul paese. È interessante, perché per la maggior parte, l’Albania è quasi ignorata, con solo una forma grigia per indicare che il paese esiste. Vorrei imparare più della storia d’Albania, come il governo ha influenzato la vita di Miranda e la sua famiglia, e perché lei ha la nostalgia per un paese dove lei ha vissuto una vita difficile. È importante di conoscere la storia non dalle generalizzazioni sull’internet, ma piuttosto dalle esperienze del popolo il quale paese è messo in discussione.